Dal libro "Armida Barelli" di Irma Corsaro, 1955
Dai vetri del tram appannati dalla pioggia non si scorgeva fuori che un grigiore uniforme: la Val Ganna era fasciata da un sottile velo di nebbia, che celava monti e strade.
A Ghirla una signorina dall'aspetto giovanile, i capelli biondi e ricciuti sotto la falda del cappello grigio, discese dal tram e si rifugiò sotto la tettoia della stazione: la pioggia cadeva monotona sullo specchio scuro del piccolo lago lasciandolo immoto.
Settembre era scorso a mezzo e già la montagna aveva la veste d'autunno; non la bella veste di ruggine e d'oro nelle mille sfumature che sfoggia nei giorni di sole, ma la grigia veste malinconica dei giorni piovosi.
La signorina si guardava intorno come se aspettasse qualcuno. Sua madre le aveva scritto che alla stazione di Ghirla sarebbe stata ad attenderla la carrozza che l'avrebbe portata a Marzio, il paesino montano ove da poco aveva acquistato una villa; ma di carrozze non si vedeva nemmeno l'ombra.
Vi era solo, dal lato opposto della strada, un calessino sgangherato e in serpa un ragazzotto robusto che si prendeva la pioggia sul farsetto scamiciato come fosse un tepido sole d'aprile. Quando sulla strada restarono la signorina da un lato e il ragazzotto dall'altra, la signorina comprese che per un innocente eufemismo le era stata annunciata una carrozza e sali sulla traballante vettura, sperando che in alto avrebbe trovato il sole.
Vivo e presente alla memoria era il panorama della riviera ligure da cui veniva: il mare azzurro sconfinato sotto l'oro fuso del sole, l'aria mite e il profumo delle alghe portate dalla brezza lieve. Solo poche ore prima aveva lasciato quella spiaggia incantevole ove l'estate si attarda come non dovesse più finire. Ed ecco ora l'autunno già pregno del freddo umidore dell'inverno. Quanto più il calesse saliva per la via erta e sassosa, tutta curve e giravolte tra boschi d'abeti e di castagni, tanto più frizzante diventava l'aria e più scure le nubi e più noiosa la pioggia. Pareva che la strada non dovesse finire mai: una svolta dopo l'altra, saliva ora lieve ora erta ora ripida e intorno gli alberi parevano fantasmi evanescenti nella nebbia.
Dopo due ore circa il calesse si fermò davanti alla villa: pochi gradini, un cancello, una breve larga gradinata sotto i pini e gli abeti ed ecco la casa, rossa con le persiane verdi, ampia, quadrata, con una torretta a destra che ne rende snella ed elegante la sagoma; sulla facciata principale due grandi araucarie stillanti di pioggia sembrano due immensi candelabri da cui sgoccioli una liquida cera incolore.
Sulla soglia, sotto la breve tettoia, mamma Savina accoglie la sua Ida con affettuosa loquacità, dolente che Marzio la riceva con la pioggia. A tavola, nella bella sala a pianterreno ove la stufa intepidisce l'aria, la signora decanta il panorama, le belle montagne della Svizzera, il lago di Lugano che si ammira dal belvedere poco distante dalla villa. Ida ascolta compiacente. Ma nel cuore ha il sole ed il mare di Pegli e il tepore blando dell'aria mite e, nel confronto, la villa immersa tra gli alti alberi stillanti di pioggia le pare tetra e malinconica. La sera, sul suo breve diario scrive: " 16 settembre 1919. Non mi piace la montagna, amo il mare, io! ".
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Invece la casa sul monte le piacque sempre più. Col passar del tempo la villa di Marzio divenne la sua oasi preferita, il rifugio per la preghiera e il raccoglimento, la casa di cura e di convalescenza, la dimora per le sue vacanze estive, aperta ora all'una ora all'altra delle sue collaboratrici più intime, sempre in compagnia della sua fedele Teresina. Di anno in anno le sue vacanze a Marzio divennero una favola. Ida Mattei, che passava tranquillamente a Milano, nel suo piccolo ufficio di via S. Agnese, il torrido mese di agosto perché tutte le altre, dirigenti e impiegate, potessero fare le loro vacanze, usava dire: " Temo i riposi di Ida Barelli ". Valanghe di posta salivano e scendevano dal monte al piano e iniziative impensate venivano fuori a getto continuo.
I marziesi e i villeggianti vedevano con gioia riaprire le finestre della villa Barelli e la signorina di nuovo al suo posto in Chiesa, presente tutte le mattine alla Messa, a lungo raccolta dopo la Comunione. Il Parroco si rallegrava sapendo che per alcuni mesi la signorina Barelli avrebbe rinvigorito tutte le opere e le iniziative d'apostolato; si rallegravano i poveri sapendo quanto avrebbero ricevuto dalla sua segreta generosità.
Lassù ella sperimentava personalmente l'attuazione delle direttive di lavoro che dava a tutte le dirigenti della Gioventù Femminile, dell'Università Cattolica, dell'Opera della Regalità. Lassù, meno assillata da colloqui, adunanze, telefoni e viaggi, si concedeva qualche ora di sonno in più delle pochissime cui aveva abituato il suo fisico, la gioia di visitare ed aiutare i poveri e di lunghe letture religiose. Lassù tenne a lungo la madre negli ultimi anni di vita - quando la stagione lo consentiva - perché nessuno vedesse il declinare di quella vivida intelligenza che si spegneva prima del cuore. E quando comprese che la sua corsa era finita, lassù volle essere portata a morire.
......
Lo splendente sole d'agosto accende di roseo fulgore il niveo mantello dei monti. All'orizzonte lontano il Monte Generoso, il S. Salvatore, i monti di Lugano, i Denti della Vecchia chiudono le colline digradanti fino all'azzurra conca del lago, entro una chiostra verde di castagni e d'abeti. La villa di mamma Savina, ora dedicata a San Francesco, ha tutte le persiane chiuse come volesse difendere dal sole il suo prezioso tesoro. Nella gran sala terrena, sul letto ornato di pizzi e fiori candidi, Ida Barelli per la prima volta riposa; ora dorme nella pace sempiterna. Le bianche piccole mani incrociate sul petto stringono la corona e il crocifisso, il nastrino azzurro della G. F. le cinge il volto su cui il perenne sorriso si è mutato in una calma estatica. Sui capelli é posato lieve il velo delle vergini.
Le campane suonano a festa. La Madonna è venuta a prendere la sua figlia diletta all'alba del giorno in cui la Chiesa celebra la sua gloriosa assunzione in cielo. Addio. A Dio. Ancora un poco sosterà nel piccolo cimitero verde di cipressi e canoro d'uccelli. Ancora un poco. Poi tornerà nel cuore della sua città natale, nella cripta della cappella dell'Università Cattolica, sotto l'altare ove nell'ostensorio tempestato di gemme palpita il Cuore divino di Gesù, che fu la ragione suprema della sua vita.
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 L'entrata di Villa Barelli

La camera dove visse a Marzio Armida Barelli
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